Andrea Meloni
Attore - Autore - Formatore teatrale - Esperto di Teatro Sociale e di Comunità - Direttore artistico Teatro Laboratorio Alkestis
ph Andrea Meloni
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"Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri." Schopenhauer.
"Eppure, tranquilla, fascinosamente tranquilla oh, balena, tu nuoti, per tutti coloro che ti vedono la prima volta, non importa quanti tu abbia in quello stesso modo giocati e distrutti prima." Moby Dick, Herman Melville.
Ne Il Teatro dei fratelli Scomparso, scritto da Andrea Meloni e prodotto dal Teatro Laboratorio Alkestis, Schopenahuer e Melville costituiscono i confini ideali di uno spettacolo che, nella sua leggerezza e godibilità, affronta il tema imprevedibile ed imprendibile della follia. E' la voce fuori campo di Agostino Cacciabue che, nel buio e nel silenzio, fornisce le chiavi di lettura della vicenda di Alfredo Scomparso: "i matti non devono essere cacciati come bestie feroci"; "la follia sta al teatro come nutrimento"; "tutti gli uomini hanno un diavolo nel cervello che cerca di soggiogare lo spirito, soggiogato il quale, il demonio gli succede e diviene padrone del corpo.". Il cantastorie Tatàr (un favoloso e "favolistico" Andrea Meloni) ripercorre la storia di Alfredo, uno che "aveva talento per lo squilibrio" e che un giorno scompare durante uno dei suoi viaggi nei mari più remoti, in cerca di "misteri senza nome", di "enigmi senza soluzione". Il corpo di Andrea Meloni si trasforma e deforma, assumendo di volta in volta le sembianze degli elementi, degli oggetti, dell'essenziale e dell'inesistente. È personaggio, è barca, è mare, è il noto e l'ignoto. È la liquida follia che pervade l'inconscio, è l'universo immaginifico reale e surreale di menti spezzate ma non piegate, è il mondo frantumato "dei reietti, dei detriti e dei relitti" che vive "nella bocca della balena" e che le opere di Simone Dulcis (il signor Guastamacchia, "secondo contabile del mattatoio") lunari e tortuose, ricompongono.
Ed ecco che la balena ("chi sei tu, balena/ da che parte stai tu, balena/ tu sei tenebre e luce/ il tuo canto turba e seduce"), nella sua ambivalenza poetica di custode e nel contempo simbolo di una realtà "diversa", mostra "la spinosa diversità" custodita al suo interno: "un imperatore, un piromane, una zingara e, quando è in forma, Dio in persona". Un'umanità "inghiottita" che non ha paura di mostrarsi, ma che "gli altri" preferiscono non vedere: "noi siamo l'arte della mistificazione, il terrore degli occhi, la maschera oscena della vergogna". Un'umanità in attesa ("che l'attesa fa il paziente e noi che siamo pazienti aspettiamo") che recita la propria "anormalità" contrapposta al "mostro della normalità" che Alfredo decide di interpretare nel Teatro allestito nel ventre della balena.
Il Teatro dei fratelli Scomparso riesce, con una drammaturgia che gioca sul doppio significato delle parole e che fornisce differenti e spesso opposti livelli di lettura e di interpretazione, a ritrarre efficacemente una condizione umana che spesso è lasciata in balia di se stessa, vittima di preconcetti clinici o pregiudizi.
Il malcostume culturale della contemporaneità vede nel "matto" qualcuno da salvare, da curare o da evitare, ma mai da comprendere perché è più semplice convincersi che "al mondo i matti sono sempre gli altri" ma mai noi stessi.
E quel finale, dove la balena sputa "sulla luna" ciò che resta di Alfredo ("io non sono magro, sono soltanto eroso"), ed il mondo, ogni mondo, diviene "straniero" sottolinea come l'assenza di qualunque essere umano, normale od anormale che sia, rappresenta una perdita: perché "anche la luna è psicotica da quando Alfredo è scomparso".
Francesca Falchi.